APPRENDIMENTO DI BASE: È con i Patriarchi che Dio
inizia a mostrare praticamente il suo intervento costante a favore
dell’umanità peccatrice. Con Abramo, un uomo vissuto nella terra di Canaan
intorno al 1850 a.C. e con la sua risposta alla chiamata di Dio, inizia la
storia dei Patriarchi: una storia fondamentalmente “religiosa”, la cui
impostazione è basilare per comprendere l’inizio della storia del popolo
di Dio. Ad Abramo Dio promette una lunga discendenza e una terra in cui
dimorare. È singolare la comparsa della figura di Abramo che di ‘colpo’
vive da monoteista in una società dominata dal culto pagano politeista!
I discendenti di Abramo sono Isacco e Giacobbe. Quest’ultimo avrà dodici
figli che saranno gli antenati delle dodici tribù d’Israele.
APPROFONDIMENTO: È con i Patriarchi che Dio inizia a mostrare il suo
intervento costante a favore dell’umanità peccatrice. Li costituisce quali
antenati del popolo eletto, deputati ad essere i testimoni della “Storia
della Salvezza” compiuta da Dio per l’uomo.
Con Abramo inizia la storia dei Patriarchi: Dio si rivela all’antenato di
un clan di nomadi che protegge e guida, e al quale accorda le promesse di
una lunga discendenza e di una terra. Una serie di brevi racconti slegati
fra loro, talvolta a forma di aneddoti, talvolta anche dai tratti
pittoreschi, narrano l’origine e le migrazioni degli antenati di Israele;
descrivono i loro legami geografici ed etnici, il loro comportamento
morale e religioso. Non è possibile descrivere una storia completa dei
Patriarchi, così come l’intendiamo oggi, non solo a motivo della
lontananza del tempo che ci separa ma soprattutto perché essi e i loro
gruppi vissero ai margini della storia politica, ai margini cioè della
“grande storia”. Anche se non siamo in grado dimostrare la loro storicità
in senso assoluto o assegnare una datazione certa, dalle scoperte
archeologiche ed epigrafiche del vicino Antico Oriente è stata rilevata
l’analogia generale dei racconti. Gli stessi nomi di Abramo, di Ismaele e
di Giacobbe compaiono nei testi del II° millennio a.C.
La storia dei Patriarchi, dunque, fondamentalmente è una “storia
religiosa”, la cui importanza è basilare per comprendere l’inizio della
storia del popolo di Dio, poiché spiega i presupposti che regolano e
condizionano l’alleanza che Dio conclude con il popolo d’Israele. Con la
storia di Abramo, un uomo vissuto nella terra di Canaan intorno al 1850
a.C., e con la sua risposta alla chiamata di Dio, si pongono le radici su
cui si fonda la fede d’Israele. Per questo è considerato il padre del
popolo eletto da Dio, l’uomo della fede, la cui ubbidienza è ricompensata
da Dio con la promessa di una lunga discendenza e di una terra su cui
dimorare. La promessa di Dio ad Abramo apre ufficialmente la ‘Storia
Biblica della Salvezza’ dopo la caduta dei progenitori Adamo ed Eva:
«Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso
il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e in te saranno
benedette tutte le famiglie della terra» (Gen. 12,1-3)
I discendenti di Abramo sono Isacco e Giacobbe. I costumi di Abramo e dei
suoi discendenti ricordano da vicino quelli dei clan di seminomadi,
padroni di pecore e capre, che andavano peregrinando lungo la regione
della cosiddetta ‘mezzaluna fertile’. Essi vissero a contatto con le
popolazioni sedentarie con le quali intrattennero relazioni per lo più
pacifiche, ma talvolta anche ostili; via via appaiono stabilmente
stanziarsi nel paese di Canaan, che diventerà poi la terra dei loro
discendenti. Le loro preoccupazioni fondamentali erano quelle di mantenere
in vita le loro famiglie in una regione travagliata dalla carestia e
assicurare pascoli abbondanti al loro bestiame. Erano convinti della loro
fede fondata sul culto di un ‘Dio personale’ che sentivano camminare con
loro durante gli spostamenti, di un Dio che prometteva tutto quanto
occorreva alla loro precaria esistenza: la protezione, la fecondità, la
discendenza e il possesso della terra, nel contesto di un patto al quale
il clan doveva rimanere fedele.
È veramente singolare la comparsa della figura di Abramo che di “colpo”
vive da monoteista in una società dominata dal culto pagano politeista. La
sua figura domina su tutti: è il prototipo dell’uomo giusto che ha una
fede incrollabile nella parola di Dio. Il Nuovo Testamento per questo
porterà Abramo ad esempio dell’uomo che, in contrasto con le tendenze del
giudaismo antico-testamentario, ottenne la giustificazione non per mezzo
delle opere, cioè delle osservanze mosaiche considerate prestazioni
autosufficienti, ma per mezzo della sua fede.
La storia di Isacco è narrata soprattutto per i rapporti intercorsi con
suo padre Abramo. La Bibbia descrive Isacco come una figura, pallida e
indifesa, prigioniero degli intrighi dei suoi stessi familiari. La sua
figura è quasi subito soverchiata da quella del figlio Giacobbe, un
personaggio piuttosto complesso, presentato inizialmente dall’autore
biblico come l’uomo dell’astuzia che agisce di propria volontà,
determinato nel raggiungere i suoi fini con ogni mezzo, in lotta costante
con i suoi parenti, ma pronto a tutto pur di impossessarsi della
benedizione di Dio. Confrontate con quelle di Abramo, le narrazioni su
Giacobbe appaiono nell’apparenza come profane e meno spirituali. Tuttavia
Dio lo protegge ed agisce in lui, utilizzandolo quale antenato del popolo
eletto: i suoi dodici figli, infatti, saranno gli antenati delle dodici
tribù d’Israele. A uno di essi, Giuseppe, è dedicata l’ultima parte del
libro della Genesi. Egli è al centro di avvenimenti che portarono Giacobbe
e i suoi figli a vivere in Egitto. Giuseppe è un uomo buono che diventa un
grande personaggio della corte egiziana. Il racconto della sua travagliata
vicenda mette in evidenza come la sua virtù viene ricompensata dalla
Provvidenza divina che volge al bene le colpe degli uomini. |