Lo studio della letteratura mitologica mesopotamica e
le recenti scoperte archeologiche sui popoli del vicino Oriente Antico
hanno permesso di identificare le fonti di molte immagini mitologiche
contenute nel racconto biblico della creazione. I ritrovamenti in Siria ed
Iraq di documenti scritti su tavolette d’argilla, nel dare una vivida
descrizione della vita e degli avvenimenti dal 1900 al 1600 a.C.,
dimostrano l’attendibilità dei costumi e della storia riportata nelle
pagine del libro della Genesi.
Orientamenti del passato, legati a pregiudizi illuministici, frutto di un
assolutismo della ragione, conferivano al mito una valenza negativa,
equiparandolo semplicemente ad una storia fiabesca o leggendaria, priva di
ogni riferimento alla verità. Certamente il mito non ha alcuna pretesa di
verità storica, nel senso che il suo contenuto non è rapportabile ad un
evento verificabile e riproducibile, poiché narra qualcosa che non è mai
avvenuta in nessun tempo e in nessun luogo. Per le culture antiche, prive
di un pensiero sviluppato, il mito rappresentava un modo simbolico con cui
gli antichi cercavano di rappresentare le grandi verità. Il mito
rappresentava l’unica forza interpretativa ed espressiva con cui
l’intelletto poteva affrontare certi problemi inafferrabili alla
consapevolezza della ragione, perché stavano al di là dell’esperienza
sensibile: l’origine del mondo e della razza umana, la natura della
divinità, le relazioni dell’uomo con il creato e con la divinità. È quindi
evidente che l’origine del mito è riconducibile all’atteggiamento
dell’uomo di fronte al mistero, riferito alle culture in cui non era
ancora sviluppato un ragionamento basato su cognizioni scientifiche.
Nonostante questi aspetti di ovvia inattendibilità storico-scientifica del
racconto mitologico, gli orientamenti degli studiosi moderni si pongono in
atteggiamento prevalentemente positivo nei confronti del racconto
mitologico, considerato come fonte preziosa di conoscenza delle mentalità,
del linguaggio e del pensiero mitopoietico dei popoli antichi.
Queste considerazioni preliminari rappresentano la base su cui si fonda la
concezione anticotestamentaria e l’inizio da cui si diparte il progetto
biblico della creazione. In effetti, il parlare mitico nasconde un
insegnamento segreto che va scoperto: ne va analizzata la sua ‘struttura
linguistica’, va scoperta la sua ‘grammatica’ e i suoi ‘legami
contestuali’ con la cultura storica del tempo in cui il mito è sorto ed è
stato tramandato. Va interpretato “il senso" e “la verità” che il mito
intende comunicare, in attinenza alla realtà profonda della concezione del
mondo, dell’uomo e del divino.
Sappiamo che le antiche civiltà della Mesopotamia e dell’Egitto erano
impregnate di una ricca mitologia che è stata in gran parte ricostruita.
Gli studi di questi documenti però rivelano che, nonostante ne abbia
subito l’influenza, esistono sostanziali differenze fra il pensiero
mitologico di questi popoli antichi e il pensiero di Israele.
Contrariamente alle concezioni dell’epoca, gli Israeliti non attribuiscono
alcuna personalità alle diverse forze della natura. Per loro non esistono
divinità diverse e distinte dalla realtà divina del loro Dio, la cui
raffigurazione nulla ha a che fare con la natura nel suo complesso, né con
nessuna delle sue parti. Anzi, il racconto biblico sembra in aperta
polemica con i miti mesopotamici, secondo i quali gli eventi che
governavano il mondo, fondati su base naturalistica, erano condizionati
esclusivamente dal volere degli dèi. Le prime pagine della Bibbia in
effetti ci fanno capire come gli autori biblici, pur nella limitazione
delle loro conoscenze scientifiche che li portarono a considerare la
struttura fisica dell’universo simile a quella descritta dai miti
mesopotamici, invertono radicalmente la concezione che vigeva a quel
tempo, secondo cui la creazione del mondo avrebbe avuto origine dagli
effetti derivanti da un conflitto cosmico fra divinità impegnate in
combattimenti contro entità mostruose o contro forze cosmiche.
L’autore biblico sovverte totalmente mentalità e credenze del tempo. Nel
rappresentare l’atto della creazione, descrive uno scenario iconografico
ricco di immagini cosmiche e di simbolismi tipici della mitologia
mesopotamica, nelle quali si individua chiaramente la presenza misteriosa
di un Dio creatore che, grazie alla sua Sapienza, sta iniziando a
“disegnare” il suo capolavoro cosmico. La creazione non è frutto di un
combattimento cosmico tra forze misteriose della natura, ma è compiuta
‘senza sforzo’ e ‘senza intervento materiale’ da parte di Dio, basta la
sua “Parola”. Come primo atto Dio pone l’uomo in una posizione
privilegiata, affidandogli la custodia di ciò che ha creato. Una
concezione rivoluzionaria per quel tempo in cui l’uomo di solito era
rappresentato dalle cosmogonie della Mesopotamia come schiavo, succube e
assoggettato al volere degli déi. L’autore biblico con originale e
coraggiosa intuizione elide la tradizionale staticità dell’uomo e gli
assegna un ruolo attivo, da protagonista, cioè di un essere destinato
all’azione e a dominare su tutte le cose create da Dio. Un concetto
veramente straordinario e impensabile per quell’epoca!
Le stesse considerazioni valgono per il racconto del diluvio. Il mito
mesopotamico attribuiva le catastrofi naturali all’ira capricciosa degli
dèi; l’uomo non poteva far nulla, se non che sottomettersi ad una potenza
che gli è superiore. Per gli Israeliti, invece, l’ira di Dio trovava
spiegazione nell’empietà degli uomini. Nella catastrofe naturale essi
videro il giusto giudizio di Dio.
Gli autori biblici quindi revisionano radicalmente e riscrivono il mito
mesopotamico, sovvertendo la concezione comune del tempo sul modo di
concepire la divinità. Contrariamente alle credenze popolari, che ogni
anno attualizzavano il mito della creazione mediante la morte e la
risurrezione del dio della fertilità, assegnano ad un “Unico Dio” il ruolo
di colui che, senza essere coinvolto egli stesso nel processo, crea e dona
all’uomo i frutti della terra.
È certamente sorprendente come gli Israeliti abbiano intuito un nuovo ed
originale ordine cosmico della natura che non sarebbe più di tipo statico
o meccanico, ma di un ordine dinamico e in continua evoluzione mantenuto
dal potere di Dio, dove natura e creazione sono inserite in un ‘programma
di salvezza’. Ma è di gran lunga ancora più stupefacente che questo
progetto salvifico, che sostanzialmente affonda le sue radici in racconti
mitici, evolverà gradualmente nell’arco di oltre un millennio in un “grandioso
megaprogetto religioso”, in grado di manifestare il volto di un Dio
che guida la storia dell’uomo, mirato a far riconoscere un Dio che
instancabilmente non perde mai occasione per ricondurre l’uomo alla
originaria realtà trascendentale della creazione.
L’influsso delle culture e delle religioni dell’Antico Oriente ha
comportato inevitabilmente l’introduzione di elementi mitologici nel
tessuto della letteratura biblica. L’assunzione di tali elementi, da parte
della cultura ebreo-giudaica, però sarebbe avvenuta solo a prezzo di una
loro ‘demitizzazione’: storicizzati e ridotti a funzioni puramente
simboliche, purificati da ogni riferimento politeistico e spogliati da
elementi di grossolano antropomorfismo, avrebbero perso il loro carattere
propriamente mitico. Alla fine, ciò che viene salvato dal mito è la sua
“forza csimbolica” posta al servizio della storia per farne emergere il
significato ultimo: |