(da Gen 3, 4-13)
Allora la donna osservò l’albero: i suoi frutti erano
certamente buoni da mangiare; era una delizia per gli occhi, era
desiderabile per acquistare saggezza. Allora prese un frutto e
ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e
anch’egli ne mangiò. I loro occhi si aprirono e tutti e due si
accorsero di essere nudi. Perciò intrecciarono foglie di fico e
se ne fecero cinture intorno ai fianchi.
Poi udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino. Allora,
per non incontrarlo, l’uomo e sua moglie si nascosero in mezzo
agli alberi del giardino. Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli
disse: Dove sei? Rispose l’uomo: Ho udito i tuoi passi nel
giardino. Ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto.
Gli chiese: Ma chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse
mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?
Rispose l’uomo: La Donna che mi hai messo a fianco mi ha dato
quel frutto e io ne ho mangiato. Dio, il Signore, si rivolse
alla donna e disse: Che cosa hai fatto? Rispose la donna: Il
serpente mi ha ingannata e io ho mangiato.
COMMENTO AL TESTO:
Il serpente tentatore attraverso un sottile gioco psicologico
coinvolge prima la donna e poi l’uomo nell’atto di ribellione a
Dio. Il sogno che fa balenare davanti ai loro occhi è quello di
diventare come Dio, tentandoli alla folle scalata di diventare i
conoscitori del bene e del male, cioè gli arbitri delle scelte
morali. Adamo ed Eva, cedendo alla tentazione del serpente, di
colpo cambiano il loro stato di creature immortali predilette da
Dio. La loro disubbidienza, nel tentativo di impossessarsi di
ciò che era riservato esclusivamente a Dio, ha costituito un
atto di orgoglio dalle conseguenze inimmaginabili, ha
significato per l’uomo interrompere la relazione di comunione
con il suo Creatore. Dio aveva creato l’uomo e la donna a sua
immagine e somiglianza, ponendoli nel suo giardino come suoi
fiduciari, con la funzione di coltivatori e custodi dei beni del
creato. La disubbidienza a Dio ha significato di aver voluto
gestire in proprio la propria esistenza, ha implicato di
infrangere l’unità del progetto creativo.
L’autore biblico, nel drammatico episodio della caduta,
individua le “radici” che sono la causa del male nel mondo,
raffigurando la nuova condizione di Adamo ed Eva con
l’espressione emblematica: “si accorsero di essere nudi”. Dio
aveva fatto tutto buono e innocente. Fino a quando conoscevano e
vedevano le cose o se stessi con la mente e gli occhi immacolati
di Dio, non sentivano vergogna della loro nudità materiale. Ora
però avvertono una debolezza e una disarmonia nel loro essere.
L’uomo e la donna scoprono la loro nudità, si vergognano e non
si accettano più come creature di Dio. Avendo violato il
comandamento si rompe l’armonia primordiale che faceva sentire
ciascuno dei due in sintonia con Dio, e irrompe nel loro vivere
“un freno psicologico”, il pudore, che d’ora in avanti impedirà
loro di esprimere liberamente il loro essere creature fatte a
somiglianza e immagine di Dio. L’unione della donna e dell’uomo
sarà conrassegnata da tensioni, e i loro rapporti dalla tendenza
all’asservimento. Cercano allora di nascondersi l’un l’altro,
perché ciascuno dei due si vede con la malizia e con gli occhi
della ‘concupiscienza’.Questo termine emblematico, coniato dai
teologi cattolici, sta a indicare il disordine che il peccato
introduce nell’armonia della creazione, come riflesso della
perversità che si annida nel serpente tentatore. L’uomo, a causa
della sua natura fragile e debole, è incapace da solo a
sottrarsi completamente al male e al peccato, perché
naturalmente è incline alla tentazione.
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