Fino al 70 d.C. il tempio di
Gerusalemme costituiva il centro spirituale unificatore della vita
religiosa degli ebrei. Le turbolenze politiche degli anni 66-70
d.C., ali-mentate dagli elementi Zeloti, innescarono una rivolta
contro i Romani repressa da Tito con la conquista di Gerusalemme e
la distruzione del suo Tempio. La Palestina divenne provincia
imperiale autonoma con il nome di Giudea. A nulla valse un’ulteriore
insurrezione degli ebrei nel 135 d.C. contro l’imperatore Adriano:
molti furono costretti a fuggire, i resti della popolazione furono
decimati, presi prigionieri o venduti come schiavi.
Questi tragici avvenimenti testimoniano il grado d’esasperazione
raggiunto dalle masse ebraiche che, sottomesse all’arbitrario potere
dei procuratori romani, si trovarono nell’impossibilità di celebrare
il loro culto. Il giudaismo piombò nella peggiore catastrofe della
sua storia, con milioni di Ebrei che furono dispersi in tutto il
bacino del Mediterraneo, in Mesopotamia e in Persia. La città di
Gerusalemme fu abitata solo da pagani; agli ebrei fu proibito
entrarvi pena la morte. La distruzione dell’edificio sacro segnò la
scomparsa progressiva dei movimenti religiosi che frequentavano
abitualmente il Tempio di Gerusalemme. Anche se l’impero romano alla
fine fu tollerante verso la religione ebraica, scomparendo il luogo
di culto più importante, quale era il Tempio e con esso la classe
dei sacerdoti, il suo posto fu acquisito definitivamente dalla
Sinagoga che divenne il luogo ufficiale del culto ebraico. Ai
sacerdoti subentrarono i Dottori della Legge, a cui si sostituirono
in tempi successivi i Rabbini.
Il giudaismo fu costretto a continuare la sua esperienza
religiosa al di fuori dei confini di Gerusalemme, a Jamnia, ma
dovette fare i conti con il dinamismo del nascente cristianesimo,
che si connotò immediatamente con l’apertura verso i pagani e
l’eliminazione dell’obbligo di osservanza delle norme di purità,
specialmente per tutto ciò che riguardava gli alimenti. Il giudaismo
quindi dovette confrontarsi con un nuovo modo di essere ebrei. Per
salvaguardare le proprie tradizioni e la propria identità, prese le
distanze dagli altri popoli e dalle altre culture, sotto l’influsso
della scuola di Jamnia. La Toràh scritta e orale divenne il fulcro
centrale dell’unità religiosa dei giudei, secondo una concezione
rigida e unilaterale. Mentre la nuova fede cristiana comincia la sua
espansione, il giudaismo si ripiega su se stesso alla ricerca di
spiegazioni per il mancato arrivo di quel Messia tanto atteso. Così
i teologi ebrei diranno: “Ci siamo sbagliati, il Messia non deve
venire, perché il Messia siamo noi, il popolo d’Israele”. Questa
nuova interpretazione, non solo smentisce la precedenza tradizione,
ma mal si accorda con i testi profetici che parlano di un
messianismo individuale e non collettivo. La maggior parte dei
giudei rimangono fedeli alle loro tradizioni che affondavano le
radici nel patrimonio spirituale e culturale vetero-testamentario di
Israele, nella convinzione che Dio abbia depositato la sua
rivelazione esclusivamente al popolo ebraico. Privi di un’autorità
centrale e di una guida carismatica che ne orientasse gli indirizzi
e gli sviluppi, i giudei della Palestina, raccogliendo fra le loro
file tutti gli ebrei che non erano passati al Cristianesimo,
continuavano a professare la propria religione fuori dalla loro
terra (fenomeno della diaspora) in diversi modi, con una pluralità e
una diversità di esperienze che quasi sempre sono state la
risultante di una interazione fra il patrimonio tradizionale e gli
stimoli di adattamento provenienti dall’ambiente in cui essi erano
inseriti.
Anche se indiscutibilmente ogni forma di cristianesimo affonda le
sue radici nel patrimonio spirituale di Israele, di là di qualche
“dettaglio” di differenza, ebraismo e cristianesimo
rappresentano l’incontro di due civiltà che hanno segnato la
cultura religiosa di tutto il mondo.
Nel 638 d.C. la Palestina passò sotto la dominazione islamica. |