I quattro evangelisti si presentano come cronisti
impassibili e distaccati. I fatti narrati quasi mai sono accompagnati da
un commento di gioia o di dolore, né da un’espressione d’esultanza, neanche di
fronte a fatti straordinari, come la nascita del loro Messia o la sua morte. I
miracoli più strepitosi sono raccontati senza nessu-na enfasi, con la consueta
semplicità e senza il bisogno di esaltarli o abbellirli con l’aggiunta di
elementi personali.
Singolarità e diversità narrative sono indubbiamente motivo di
perplessità nel lettore contemporaneo abituato a leggere fatti coerenti e
notizie controllate. È inspiegabile come gli evangelisti abbiano potuto
“macchiare” la loro narrazione con errori materiali ed imprecisioni
grossolane, facilmente e sicuramente evitabili.
Frequenti sono i doppioni narrativi all’interno di un singolo vangelo,
probabil-mente dovuti all’utilizzo di più fonti riportanti il medesimo
racconto o il medesimo fatto.
Le discordanze tra i testi evangelici rappresentano il cavallo di
battaglia dei demolitori della storicità dei Vangeli. Qualcuno potrebbe
addirittura ipotizzare che gli evangelisti ci hanno fornito quattro differenti
versioni sulla vita di Gesù. Per que-sta questione la chiesa primitiva
attraversò una gravissima crisi, tanto che verso il 170 d.C. lo scrittore
cristiano Taziano tentò di proporre il “Diatesseron”, un testo u-nico dei
Vangeli che armonizzava le discordanze imbarazzanti. Numerose, infatti, sono
le discordanze e le anomalie riscontrabili nei quattro Vangeli,
prevalentemente sul piano storico-narrativo e geografico. Difficile enumerarle
tutte. Ne ricordiamo so-lo alcune delle più clamorose:
- secondo l’evangelista Matteo, il ritorno a Nazarèt dopo la nascita di Gesù,
sa-rebbe avvenuto al ritorno dalla fuga in Egitto, mentre secondo Luca subito
dopo la presentazione di Gesù al Tempio di Gerusalemme;
- secondo i Sinottici l’attività pubblica di Gesù si svolgerebbe
prevalentemente in Galilea, mentre secondo l’evangelista Giovanni in Giudea;
- i Sinottici riferiscono un solo viaggio verso Gerusalemme, Giovanni, invece,
ne descrive almeno tre;
- gli interlocutori di Gesù nello stesso racconto capita che siano diversi (i
disce-poli, la folla, i Farisei e i capi Ebrei, o ancora ascoltatori increduli
etc...);
- l’evangelista Giovanni, quale membro del collegio dei dodici, non riferisce
nel suo Vangelo alcuni episodi importanti (come la trasfigurazione, i
preparativi della cena pasquale e la preghiera nel Getsèmani), nonostante che,
secondo quanto riferito dai Sinottici, egli doveva esserne a conoscenza per
aver partecipato in prima persona a quell’evento;
- la data dell’ultima cena è riportata dai sinottici nel giorno della festa di
Pa-squa, mentre da Giovanni alla vigilia;
- gli eventi che descrivono il processo istituito contro Gesù presentano
diversità sostanziali di particolari fra i quattro evangelisti;
- le apparizioni di Gesù risorto presentano divergenze non solo nei
personaggi, ma anche nei luoghi e nel tempo (secondo Matteo appare alle pie
donne in Gerusa-lemme nello stesso giorno della risurrezione e,
successivamente, in Galilea agli un-dici Apostoli; secondo Marco appare a
Gerusalemme nello stesso giorno della risur-rezione a Maria di Màgdala e ai
discepoli; secondo Luca appare in Gerusalemme prima ai due discepoli di Emmaus
e poi agli undici Apostoli; secondo Giovanni appare in Gerusalemme a Maria di
Màgdala e ai discepoli nello stesso giorno della risurrezione, riappare ai
soli discepoli otto giorni dopo);
- è singolare che solo gli evangelisti Marco e Luca, che non furono né
discepoli né testimoni diretti, descrivano l’ascensione di Gesù in cielo, al
contrario degli altri due evangelisti, Matteo e Giovanni i quali, da presunti
testimoni oculari, dovevano essere stati presenti a un evento di fondamentale
importanza ai fini della fede.
- il vangelo di Marco, ritenuto il più antico, è opera di un autore che non fu
né seguace né testimone diretto di Gesù. A rigore di logica doveva essere uno
dei disce-poli al seguito di Gesù a scrivere per primo i ricordi sul Maestro.
I Vangeli riportano che tra i discepoli al seguito di Gesù,
trasparivano intrighi, gelosie, invidie, incredulità, paure e ottusità. Sono
sgridati più volte dallo stesso Maestro per non aver capito il significato
profondo del suo insegnamento o averlo distorto. I discepoli sono presentati
come coloro che non hanno saputo vegliare nemmeno un’ora con il Maestro
durante l’agonia del Getsèmani, e anche come coloro che fuggirono quand’era in
pericolo, lasciandolo morire nell’abbandono e nella completa solitudine. I
Vangeli, inoltre, mostrano discepoli che predicano con gran fervore, ma che
fino all’ultimo si ritengono senza fede sufficiente. Ad esempio l’apostolo
Pietro, nominato da Gesù colonna su cui si doveva fondare la Chiesa nascente,
è presentato dagli evangelisti come una figura a volte insicura o povera di
fede, al punto di fargli rinnegare il suo Maestro per ben tre volte! Di solito
un autore sovrasta il personaggio, lo piega a se stesso, lo assoggetta alle
proprie intenzioni. Nel caso specifico degli evangelisti Matteo e Giovanni,
non solo autori ma anche testimoni oculari, è Gesù che li sovrasta,
impegnandoli soltanto nel custodire e tramandare ciò che egli ha
effettivamente detto e fatto.
Gesù non ha lasciato nulla di scritto, ma neppure gli evangelisti si
sono preoccupati di dare un cenno riguardante il suo aspetto fisico, nulla che
poteva interessare la curiosità umana al suo riguardo. Tacciono sulla
formazione scolastica di chi è definito come “Maestro”; non riportano alcuna
notizia tra la nascita e l’inizio della sua predicazione, ad eccezione di Gesù
dodicenne che discute con i dottori della Legge nel Tempio di Gerusalemme.
Silenzi inspiegabili, giacché in tutti i racconti mitologici o d’epopea
religiosa gli autori mostrano la costante preoccupazione di descrivere il loro
eroe, al fine di conferirgli autorevolezza, credibilità e personalità. Perché
poi la morte in croce, pro-prio quella di cui il mondo antico aveva più orrore
e disprezzo? Un’assurdità! Scrittori falsari avrebbero certamente evitato di
inventare la croce come strumento di morte del Cristo. Uno scandalo per i
Cristiani delle origini, che non accettarono di buon grado l’idea che il loro
Messia fosse morto proprio in croce, un tipo di esecuzione riservata ai comuni
malfattori. Perché poi una morte infamante, resa pubblica nel posto più in
vista di Gerusalemme affollata per la Pasqua, mentre il momento della gloriosa
risurrezione è celato nel buio e nel segreto di una tomba, svelato solamente
alla cerchia ristretta dei discepoli? Per dare conferma e credibilità alla sua
missione sarebbe potuto apparire in pubblico a qualcuno dei suoi avversari! Il
paradosso continua anche dopo la sua morte. In tutto l’impero romano, gli
storici lo ignorano, i documenti del giudaismo, pur senza negare il Gesù
storico, lo usano come fonte di scherno e di biasimo e i sapienti disconoscono
la sua dottrina.
In definitiva un Gesù lasciato solo, che
affidava ingenuamente la sua dottrina in mano a dei rozzi collaboratori,
sembrava essere destinato a porre la parola fine a tutto il suo ‘Progetto’,
appeso a una croce. Invece, la situazione si capovolge e dopo oltre
duemila anni di storia Gesù, ancora oggi, ci appare più vivo di prima. Si
hanno quindi buone ragioni per affermare che questo Messia, pur avendo scelto
solo appa-rentemente la via per fallire, ci vuole far scoprire che il suo
messaggio è veramente fondato su “Principi e Valori Universali”, in
grado di dare agli uomini un orientamento al senso della vita. Ed è lo stesso
evangelista Matteo ad attestarlo, mettendo in bocca a Gesù le seguenti parole:
«Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» (Cap.
24, 35). |