Come già è stato detto, nel corso della storia le fonti
evangeliche sono state sot-toposte a una seria verifica critica sotto il
profilo letterario e storico, nel costante confronto con i documenti
provenienti dall’ambiente giudaico ed ellenistico antico. La ricerca
storico-critica, dal sec XVIII° ad oggi, ha esaminato tutte le parole e i
gesti attribuiti a Gesù Cristo, per ricostruire in termini attendibili la
figura, l’attività e il suo messaggio. Episodi sporadici di rifiuto e di
critica nei confronti di Cristo e dei Vangeli si verificarono già nel II° e
III° secolo per opera dei filosofi pagani Celso e Porfirio, i quali
denigrarono la figura di Cristo considerandolo un impostore. Inoltre
contestarono i Vangeli ritenendoli un’invenzione priva di fondamento. Vigorosa
fu la reazione cristiana specialmente per merito di Origene e di Eusebio di
Cesarea.
Verso la seconda metà del 1300 comparvero i primi libri per opera d’autori
cri-stiani sulla vita di Gesù. Subito fu vista la difficoltà nel mettere
d’accordo le differenze insite nella narrazione dei quattro evangelisti.
Nonostante ciò, nell’ambito cristiano c’era radicata la convinzione che i
Vangeli descrivessero autenticamente i momenti fondamentali della vita di
Gesù, detto il Cristo.
Nel periodo dell’illuminismo, a causa della scarsità di notizie storiche
desumibili dai quattro Vangeli e dalle tenui tracce lasciate dal giudaismo
ufficiale sulla figura di Gesù, prevalse l’indirizzo di ridurre la realtà
storica di Gesù ad un nazionalista ebreo ucciso dai romani, i cui discepoli
avrebbero trafugato il corpo proclamandone la sua risurrezione, al fine di
attribuirgli poteri divini. Sappiamo, infine, che per la mentalità
illuministica la ragione umana era l’unico criterio di verità, e in base a
tale presupposto non era possibile accettare il lato soprannaturale dei
Vangeli, come ad esempio, la divinità di Gesù, i miracoli e la risurrezione.
Solo verso la fine del 1700, come reazione all’indirizzo illuminista, nasce
una nuova impostazione di ricerca basata sulle fonti letterarie e i documenti
delle prime comunità cristiane dopo la morte di Gesù. Da questa nuova stagione
di studi, che dà credito alle fonti evangeliche, si è aperto un dibattito
serio sulla figura di Gesù, dibattito che non si è più arrestato e continua ai
giorni nostri.
Partendo dal presupposto che la tradizione orale del materiale evangelico sia
confluita in piccole “unità letterarie”, come risposta ai problemi contingenti
delle primitive comunità cristiane, l’autorevole studioso R.Bultman
(1906-1941), in seguito alla situazione di incertezze venutasi a creare sulla
realtà della figura di Gesù, alimentate dalle diverse sfaccettature (talora
contraddizioni) che scaturivano dalla diversificazione narrativa degli
evangelisti, lancia la sua teoria. Bultman afferma che, a causa della
precarietà storica delle fonti originarie, non bisogna preoccuparsi dei fatti
storici raccontati nei Vangeli. Secondo Bultman i Vangeli non sarebbero libri
storici, ma opere di catechesi e di predicazione elaborate dalla comunità
cristiana primitiva. Non è necessario inquadrare l’azione di Gesù in un
contesto storico, perché la fede si fonda sulla parola di Dio e non sulla
storia. Bultman, in altre parole, riducendo i Vangeli a pure testimonianze di
fede in Cristo, disgiunge con un taglio netto il “Gesù storico” dal “Cristo
della fede”. Così, agli inizi degli anni ’50, sulla scia e come conseguenza
alle asserzioni di Bultman, si venne a creare quasi la convinzione che
l’immagine del Gesù storico in definitiva possa essere stata plasmata dalle
prime comunità cristiane. Gli evangelisti avrebbero inserito artificialmente
la divinità di Gesù in un contesto storico manipolato, tale da rendere
impossibile la conoscenza del Gesù storico. Alle affermazioni così categoriche
di Bultman si contrapposero primi fra tutti i suoi allievi i quali,
capovolgendo le conclusioni del maestro, asserirono invece che la ricerca del
Gesù storico non intende provare la fede, ma che i Vangeli trasmettono il
“kerygma” (messaggio e gesti di Gesù) inserito nel contesto storico, religioso
e culturale dell’ambiente ebraico-palestinese. Secondo gli allievi di Bultman
la fede della primitiva comunità cristiana, scaturita dalla proclamazione
apostolica del kerygma pasquale, non può prescindere da un legame storico con
la vita di Gesù. Gli evangelisti non sono da considerare semplici
“compilatori”, bensì come “redattori” che seppero organizzare e interpretare
il materiale tradizionale della chiesa primitiva, riuscendo ciascuno di essi
ad elaborare una visione personale di Gesù di Nazarèt. Soprattutto si deve a
Kasemann l’avvio di un serio processo di revisione che porterà a restituire
l’originale continuità tra il Gesù vissuto in Palestina e il Cristo annunciato
dai Vangeli. Si arriva quindi alla conclusione che i Vangeli sono narrazioni
al servizio della predicazione e testimonianze, non solo di una fede, ma anche
di accadimenti. Infatti, non si può pensare di preservare la fede enfatizzando
la divinità di Cristo a detrimento della sua vera umanità, né si può ritenere
di inquadrare la figura di Gesù, storicamente accertata, sul piano spirituale
e teologico al di fuori di un contesto reale. Grosso modo, fino ad oggi,
rimane questa la posizione ufficiale della Chiesa Cattolica per quanto
riguarda il modo e il metodo di interpretazione dei Vangeli.
In effetti, la ricerca del Gesù storico può servire al credente per aiutarlo
nella riflessione teologica. Su questa base, la “metodologia storico-critica”
sui testi evangelici è stata rivolta a rivalutare lavoro e ruolo degli
evangelisti come scrittori e teologi. Gli studiosi hanno cercato di ricercare
le fonti e le tradizioni a cui hanno attinto gli autori dei Vangeli,
evidenziando il rapporto esistente fra disegno teologico e intenzione
storiografica. Hanno cercato di mettere in luce eventuali condizionamenti
ideologici o interventi successivi sui testi, con l’intento di individuare il
fatto originario. Grazie a questi studi, l’analisi storico-critica sui testi
evangelici ha consentito di accertare:
a) l’unicità e la specificità della figura di Gesù all’interno del contesto
storico in cui è vissuto;
b) l’originalità delle tecniche di insegnamento e di molte espressioni di Gesù
riportate dai Vangeli;
c) la coerenza delle parole e dei gesti di Gesù in un contesto di continuità
con il progetto salvifico di Dio annunziato dagli autori vetero-testamentari.
Bisogna però considerare che il “metodo storico-critico”, andando alla ricerca
sempre più sottile e approfondita tra i diversi strati delle varie tradizioni,
nel tentativo di scoprire e capire ciò che l’autore potè e volle esprimere in
quel preciso momento storico, alla fine può sfociare in una immagine di Gesù
nebulosa e incerta, dai contorni contrastanti e ridotta in frammenti,
un’immagine che, nonostante gli sforzi, non riesce a fornire in maniera
sufficiente una visione unitaria e armonica della figura di Gesù.
Il “metodo storico-critico”, pur restando una dimensione irrinunciabile del
lavoro esegetico, in effetti mette in evidenza almeno due grossi limiti: il
primo fra tutti è che, rimanendo ancorato all’analisi minuziosa dei fatti del
passato, non riesce a far intravedere punti di contatto con il presente; il
secondo è che rende difficoltoso vedere i testi biblici nella loro unità
spirituale.
Recentemente si è sviluppata una <nuova metodologia>, della cosidetta <esegesi
canonica>, con l’obiettivo di inquadrare le Sacre Scritture in una visione
teologica d’insieme. L’esegesi canonica ci fa comprendere che l’Antico e Nuovo
Testamento, intimamente connessi tra loro, vedono in Gesù Cristo la chiave del
tutto, cioè di colui che, in comunione con il Padre, porta a compimento il
grande piano di Dio per la Salvezza dell’uomo.
‘L’esegesi canonica non entra in contraddizione con il metodo storico-critico,
ma lo sviluppa in maniera organica e lo fa divenire vera e propria teologia.
Incertezze, diffidenze, contraddizioni e dubbi rilevati attraverso il metodo
storico-critico, vanno vagliati e interpretati attraverso la nuova metodologia
dell’esegesi canonica che porta a considerare Gesù a partire dalla sua
comunione con il Padre. Senza il radicamento in Dio, la persona di Gesù rimane
sfuggevole, irreale e inspiegabile’ (Joseph Ratzinger). |
In realtà,
l’identificazione dell’immagine storica di Gesù sfugge a tutte le
categorie di interpretazioni razionali, a metodologie esegetiche o
a programmi religiosi ben definiti, tendenti a trasformare la fede
cristiana in un rigido modello religioso, stereotipato e dai
confini ben delimitati. Bisogna sempre fare i conti, innanzitutto,
con quel Gesù “idealizzato” che ognuno di noi si è costruito a
misura. Quel Gesù a cui ciascuno di noi vorrebbe guardare per
vedervi se stesso e le proprie intime esigenze. Un’attenta e
obiettiva riflessione però ci fa intravedere i nostri limiti. In
effetti Gesù frustra tutti i tentativi di etichettare la sua
identità e la sua dottrina entro rigidi canoni; la sua immagine,
gira e rigira, rimane sempre avvolta dal mistero. Gesù rimarrà
sempre un enigma per ogni ricercatore storico. Il pensiero umano,
attraverso l’unica via della ragione, non riuscirà mai ad
impadronirsene.
L’unica storia vera di Gesù che possediamo è quella dei Vangeli i
quali non ci trasmettono un evento storico, ma mirano soprattutto
a descrivere un ‘evento di fede’ inserito nel Piano di Dio della
Salvezza, volto a interpellare l’uomo per stimolarlo a dare una
risposta definitiva alla chiamata di Dio.
L’unica sicurezza che ci rimane sull’immagine vera e autentica di
Gesù è quella di una ‘figura’ a cui bisogna guardare come ad un
‘faro’, il cui ruolo funzionale è quello di stimolare dentro
ognuno di noi, permanentemente, la ricerca del senso dei valori
religiosi della vita. |