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SCOPRIRE LA CONOSCENZA DI DIO CON UN LINGUAGGIO SEMPLICE
 



II° PARTE

IL COMPIMENTO DELLA STORIA DELLA SALVEZZA


 
 
 
II.4.12 La figura di Gesù nel dibattito esegetico
 
Come già è stato detto, nel corso della storia le fonti evangeliche sono state sot-toposte a una seria verifica critica sotto il profilo letterario e storico, nel costante confronto con i documenti provenienti dall’ambiente giudaico ed ellenistico antico. La ricerca storico-critica, dal sec XVIII° ad oggi, ha esaminato tutte le parole e i gesti attribuiti a Gesù Cristo, per ricostruire in termini attendibili la figura, l’attività e il suo messaggio. Episodi sporadici di rifiuto e di critica nei confronti di Cristo e dei Vangeli si verificarono già nel II° e III° secolo per opera dei filosofi pagani Celso e Porfirio, i quali denigrarono la figura di Cristo considerandolo un impostore. Inoltre contestarono i Vangeli ritenendoli un’invenzione priva di fondamento. Vigorosa fu la reazione cristiana specialmente per merito di Origene e di Eusebio di Cesarea.
Verso la seconda metà del 1300 comparvero i primi libri per opera d’autori cri-stiani sulla vita di Gesù. Subito fu vista la difficoltà nel mettere d’accordo le differenze insite nella narrazione dei quattro evangelisti. Nonostante ciò, nell’ambito cristiano c’era radicata la convinzione che i Vangeli descrivessero autenticamente i momenti fondamentali della vita di Gesù, detto il Cristo.
Nel periodo dell’illuminismo, a causa della scarsità di notizie storiche desumibili dai quattro Vangeli e dalle tenui tracce lasciate dal giudaismo ufficiale sulla figura di Gesù, prevalse l’indirizzo di ridurre la realtà storica di Gesù ad un nazionalista ebreo ucciso dai romani, i cui discepoli avrebbero trafugato il corpo proclamandone la sua risurrezione, al fine di attribuirgli poteri divini. Sappiamo, infine, che per la mentalità illuministica la ragione umana era l’unico criterio di verità, e in base a tale presupposto non era possibile accettare il lato soprannaturale dei Vangeli, come ad esempio, la divinità di Gesù, i miracoli e la risurrezione. Solo verso la fine del 1700, come reazione all’indirizzo illuminista, nasce una nuova impostazione di ricerca basata sulle fonti letterarie e i documenti delle prime comunità cristiane dopo la morte di Gesù. Da questa nuova stagione di studi, che dà credito alle fonti evangeliche, si è aperto un dibattito serio sulla figura di Gesù, dibattito che non si è più arrestato e continua ai giorni nostri.
Partendo dal presupposto che la tradizione orale del materiale evangelico sia confluita in piccole “unità letterarie”, come risposta ai problemi contingenti delle primitive comunità cristiane, l’autorevole studioso R.Bultman (1906-1941), in seguito alla situazione di incertezze venutasi a creare sulla realtà della figura di Gesù, alimentate dalle diverse sfaccettature (talora contraddizioni) che scaturivano dalla diversificazione narrativa degli evangelisti, lancia la sua teoria. Bultman afferma che, a causa della precarietà storica delle fonti originarie, non bisogna preoccuparsi dei fatti storici raccontati nei Vangeli. Secondo Bultman i Vangeli non sarebbero libri storici, ma opere di catechesi e di predicazione elaborate dalla comunità cristiana primitiva. Non è necessario inquadrare l’azione di Gesù in un contesto storico, perché la fede si fonda sulla parola di Dio e non sulla storia. Bultman, in altre parole, riducendo i Vangeli a pure testimonianze di fede in Cristo, disgiunge con un taglio netto il “Gesù storico” dal “Cristo della fede”. Così, agli inizi degli anni ’50, sulla scia e come conseguenza alle asserzioni di Bultman, si venne a creare quasi la convinzione che l’immagine del Gesù storico in definitiva possa essere stata plasmata dalle prime comunità cristiane. Gli evangelisti avrebbero inserito artificialmente la divinità di Gesù in un contesto storico manipolato, tale da rendere impossibile la conoscenza del Gesù storico. Alle affermazioni così categoriche di Bultman si contrapposero primi fra tutti i suoi allievi i quali, capovolgendo le conclusioni del maestro, asserirono invece che la ricerca del Gesù storico non intende provare la fede, ma che i Vangeli trasmettono il “kerygma” (messaggio e gesti di Gesù) inserito nel contesto storico, religioso e culturale dell’ambiente ebraico-palestinese. Secondo gli allievi di Bultman la fede della primitiva comunità cristiana, scaturita dalla proclamazione apostolica del kerygma pasquale, non può prescindere da un legame storico con la vita di Gesù. Gli evangelisti non sono da considerare semplici “compilatori”, bensì come “redattori” che seppero organizzare e interpretare il materiale tradizionale della chiesa primitiva, riuscendo ciascuno di essi ad elaborare una visione personale di Gesù di Nazarèt. Soprattutto si deve a Kasemann l’avvio di un serio processo di revisione che porterà a restituire l’originale continuità tra il Gesù vissuto in Palestina e il Cristo annunciato dai Vangeli. Si arriva quindi alla conclusione che i Vangeli sono narrazioni al servizio della predicazione e testimonianze, non solo di una fede, ma anche di accadimenti. Infatti, non si può pensare di preservare la fede enfatizzando la divinità di Cristo a detrimento della sua vera umanità, né si può ritenere di inquadrare la figura di Gesù, storicamente accertata, sul piano spirituale e teologico al di fuori di un contesto reale. Grosso modo, fino ad oggi, rimane questa la posizione ufficiale della Chiesa Cattolica per quanto riguarda il modo e il metodo di interpretazione dei Vangeli.
In effetti, la ricerca del Gesù storico può servire al credente per aiutarlo nella riflessione teologica. Su questa base, la “metodologia storico-critica” sui testi evangelici è stata rivolta a rivalutare lavoro e ruolo degli evangelisti come scrittori e teologi. Gli studiosi hanno cercato di ricercare le fonti e le tradizioni a cui hanno attinto gli autori dei Vangeli, evidenziando il rapporto esistente fra disegno teologico e intenzione storiografica. Hanno cercato di mettere in luce eventuali condizionamenti ideologici o interventi successivi sui testi, con l’intento di individuare il fatto originario. Grazie a questi studi, l’analisi storico-critica sui testi evangelici ha consentito di accertare:
a) l’unicità e la specificità della figura di Gesù all’interno del contesto storico in cui è vissuto;
b) l’originalità delle tecniche di insegnamento e di molte espressioni di Gesù riportate dai Vangeli;
c) la coerenza delle parole e dei gesti di Gesù in un contesto di continuità con il progetto salvifico di Dio annunziato dagli autori vetero-testamentari.

Bisogna però considerare che il “metodo storico-critico”, andando alla ricerca sempre più sottile e approfondita tra i diversi strati delle varie tradizioni, nel tentativo di scoprire e capire ciò che l’autore potè e volle esprimere in quel preciso momento storico, alla fine può sfociare in una immagine di Gesù nebulosa e incerta, dai contorni contrastanti e ridotta in frammenti, un’immagine che, nonostante gli sforzi, non riesce a fornire in maniera sufficiente una visione unitaria e armonica della figura di Gesù.
Il “metodo storico-critico”, pur restando una dimensione irrinunciabile del lavoro esegetico, in effetti mette in evidenza almeno due grossi limiti: il primo fra tutti è che, rimanendo ancorato all’analisi minuziosa dei fatti del passato, non riesce a far intravedere punti di contatto con il presente; il secondo è che rende difficoltoso vedere i testi biblici nella loro unità spirituale.

Recentemente si è sviluppata una <nuova metodologia>, della cosidetta <esegesi canonica>, con l’obiettivo di inquadrare le Sacre Scritture in una visione teologica d’insieme. L’esegesi canonica ci fa comprendere che l’Antico e Nuovo Testamento, intimamente connessi tra loro, vedono in Gesù Cristo la chiave del tutto, cioè di colui che, in comunione con il Padre, porta a compimento il grande piano di Dio per la Salvezza dell’uomo.
L’esegesi canonica non entra in contraddizione con il metodo storico-critico, ma lo sviluppa in maniera organica e lo fa divenire vera e propria teologia. Incertezze, diffidenze, contraddizioni e dubbi rilevati attraverso il metodo storico-critico, vanno vagliati e interpretati attraverso la nuova metodologia dell’esegesi canonica che porta a considerare Gesù a partire dalla sua comunione con il Padre. Senza il radicamento in Dio, la persona di Gesù rimane sfuggevole, irreale e inspiegabile’ (Joseph Ratzinger).
 CONCLUSIONE
In realtà, l’identificazione dell’immagine storica di Gesù sfugge a tutte le categorie di interpretazioni razionali, a metodologie esegetiche o a programmi religiosi ben definiti, tendenti a trasformare la fede cristiana in un rigido modello religioso, stereotipato e dai confini ben delimitati. Bisogna sempre fare i conti, innanzitutto, con quel Gesù “idealizzato” che ognuno di noi si è costruito a misura. Quel Gesù a cui ciascuno di noi vorrebbe guardare per vedervi se stesso e le proprie intime esigenze. Un’attenta e obiettiva riflessione però ci fa intravedere i nostri limiti. In effetti Gesù frustra tutti i tentativi di etichettare la sua identità e la sua dottrina entro rigidi canoni; la sua immagine, gira e rigira, rimane sempre avvolta dal mistero. Gesù rimarrà sempre un enigma per ogni ricercatore storico. Il pensiero umano, attraverso l’unica via della ragione, non riuscirà mai ad impadronirsene.
L’unica storia vera di Gesù che possediamo è quella dei Vangeli i quali non ci trasmettono un evento storico, ma mirano soprattutto a descrivere un ‘evento di fede’ inserito nel Piano di Dio della Salvezza, volto a interpellare l’uomo per stimolarlo a dare una risposta definitiva alla chiamata di Dio.
L’unica sicurezza che ci rimane sull’immagine vera e autentica di Gesù è quella di una ‘figura’ a cui bisogna guardare come ad un ‘faro’, il cui ruolo funzionale è quello di stimolare dentro ognuno di noi, permanentemente, la ricerca del senso dei valori religiosi della vita.
 
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| VOLUME 2 |