A) Profeta, è un titolo inadeguato che mal si addice
a spiegare nella sua completezza ed organicità il fenomeno Gesù. Come scrive
Giuseppe Flavio, altri ebrei palestinesi hanno assunto quel titolo
nell’ambiente giudaico del tempo. È infatti ben noto il ruolo che la figura
del profeta ha nella tradizione biblica e poi nel giudaismo antico. Di fronte
ai suoi gesti potenti e alla sua parola autorevole, i contemporanei tendono ad
identificarlo con una figura carismatica-profetica della tradizione biblica.
Anche se nella sinagoga di Nazarèt Gesù palesemente si presenta come profeta
che parla a nome di Dio, questo non vuol dire che la sua figura profetica si
possa paragonare a quella dei profeti vetero-testamentari. Gesù si colloca
nella Storia della Salvezza sotto la cornice di “profeta escatologico”,
agendo come colui che porta a compimento definitivo il progetto divino per
realizzare nella storia umana la salvezza, non soltanto per i discendenti di
Israele ma anche per tutte le genti. Sotto questo aspetto Gesù può essere
identificato nel “massimo dei profeti”, perchè tutta la profezia dell’Antico
Testamento trova in “lui” il suo alto compimento, il suo culmine e insieme la
sua più valida conferma.
B) Messia (o Cristòs, traduzione greca da un originale aramaico
che significa “consacrato” o “scelto”) è il titolo cristologico più
frequentmente riscontrato nei testi del Nuovo Testamento per un totale di 535
volte. È il titolo attribuito dai suoi discepoli a Gesù che, dopo l’evento
della risurrezione, formò il contenuto di fede e il kerygma delle primitive
comunità cristiane. L’appellativo Cristòs e la figura di Messia da attribuire
a Gesù sono particolarmente difficili da discutere, dal momento che Gesù non
si è mai descritto direttamente come Messia, nel senso regale davidico; nè
c’è, d’altro canto, alcuna prova che egli abbia rifiutato questo titolo.
Quando Pietro riconobbe Gesù come Messia (Mc 8,29; Lc 9,20; Mt 16,16-19) Gesù
reagì con grande prudenza e riservatezza: corregge il titolo con il
riferimento al “Figlio dell’Uomo”, e dà ordine ai suoi discepoli di non
parlare di questo a nessuno. Paradossalmente sarà la morte in croce, e la sua
rivelazione come Signore risorto, a consentire di rileggere la sua figura
messianica e la sua vera identità, collocando Gesù nel ruolo escatologico di
colui che realizza definitivamente il progetto divino della salvezza nella
storia umana.
C) Signore, appellativo utilizzato, prevalentemente dalla cerchia dei
discepoli, per descrivere un diverso grado di riverenza da parte di coloro che
hanno visto in Gesù un maestro, un guaritore, un profeta.
D) Figlio di Dio, è un titolo che può essere associato a quello di
Cristo e di Messia ma che nella tradizione evangelica non si trova mai
esplicitamente in bocca a Gesù. La tradizione sinottica riferisce questo
titolo a Gesù solo in contesti solenni, teofanici (battesimo,
trasfigurazione). Nel quarto vangelo di Giovanni si trova menzionato dieci
volte. Anche per questo titolo si deve dire che è stata l’esperienza relativa
alla Risurrezione di Gesù a farlo riscoprire nella sua valenza cristologica, a
conferma che la cristologia neotestamentaria pone nel mistero pasquale il suo
criterio di verità: la rivelazione definitiva di Gesù Cristo in Dio Padre. |