- Gesù e i Discepoli
Molte persone accettarono in senso assoluto di lasciare le proprie famiglie
per se-guire Gesù. Da questi seguaci, che contrariamente agli usi dei maestri
del tempo in-cludevano anche delle donne, Gesù formò un gruppo speciale
interno, chiamato dei “Dodici”, i cui membri sono nominati nei Vangeli. Il
fatto che la maggior parte dei Dodici siano svaniti presto dalla vista della
chiesa primitiva, indica che il loro ruolo principale, nell’ambito della
missione di Gesù, principalmente simboleggiava il raduno e la ricostituzione
delle dodici tribù di Israele, in sintonia con le speranze dei profeti. Il
progetto di Gesù, infatti, non prevedeva di fondare un nuovo gruppo separato
da Israele; la missione di Gesù era volta primariamente alla ricostituzione
d’Israele come popolo di Dio. Nell’ambito di questo contesto ha senso l’invito
di Mat-teo, in continuità con l’annuncio profetico vetero-testamentario, alla
missione limitatamente ai loro compagni Israeliti.
- Gesù e i Pagani
Gesù durante il suo ministero non spiega “esattamente” come i pagani (o
cosiddetti gentili) sarebbero inclusi nel piano di Dio, essendo la sua
missione rivolta princi-palmente alla riunione del popolo d’Israele. Questo
però non vuol dire che Gesù non si sia interessato dei pagani. Anzi, Gesù non
si sottrae ai contatti con i Samari-tani, gente che notoriamente praticava
l’idolatria ai tempi di Gesù, a favore dei quali compie esorcismi e miracoli.
Nelle sue invettive contro le città, Gesù affermava che la sorte dei pagani
nel giorno del giudizio sarebbe stata meno dura in confronto a quella di
Israele incredulo. Anche la missione finale dei discepoli era rivolta a tutte
le genti. Questo dimostra l’apertura incondizionata verso i pagani, ed è
implicito che Gesù demanda alla futura chiesa nascente il compito di rendere
comprensibili i ter-mini della salvezza per coloro che non sono o non possono
essere raggiunti dal Van-gelo.
- Gesù e i Gruppi Giudaici
Gesù aveva punti di contatto con quasi ogni ramo del giudaismo (farisei,
sadducei, maestri della legge), ma non risulta che abbia mai preso posizione,
né si schierò con nessuno di loro nella gran parte nelle questioni scottanti
politiche e sociali dell’epoca, poiché concepiva una situazione radicalmente
nuova per Israele, situa-zione che si identificava con la venuta del Regno di
Dio. Questo spiega perché Gesù non propose la riforma della società a lui
contemporanea, ma addirittura ne annun-ziò la fine. Il tentativo di ritrarre
Gesù come un rivoluzionario è fuorviante perché, contrariamente ai movimenti
di rivendicazione sociale, Gesù insegnava l’amore per i nemici e denunciava il
pagamento delle tasse a Roma.
- L’identità di Gesù
Durante la sua attività pubblica Gesù ha dovuto combattere per preservare la
sua identità e la sua missione sia da ‘tentazioni esterne’ che da ‘tentazioni
interne’. Le tentazioni esterne erano legate all’ambiente in cui operava, come
le attese triofalistiche di un Messia terreno che, dopo il prodigio della
moltiplicazione dei pani, avevano indotto la folla a proclamarlo re. Gesù ha
dovuto allontanare la tentazione satanica rifugiandosi in un monte a pregare.
Anche nel suo intimo si svolse una lotta drammatica: l’epiosodio del monte
degli Ulivi descrive da una parte la consapevolezza razionale di sfuggire ad
una morte violenta, dall’altra la spinta interiore e la determinazione a fare
la volontà del Padre per portare a compimento il progetto divino della
salvezza.
L’indagine storica condotta su Gesù attraverso l’analisi dei testi evangelici
ci permette di cogliere sicuramente tratti salienti della sua immagine. Ma è
altrettanto vero che, come attestano gli scritti del Nuovo Testamento, lo
storico ebreo Giuseppe Flavio, gli scritti rabbinici e la letteratura pagana,
nessuno è mai riuscito a capire chi fosse realmente Gesù. Il dato notevole è
che Gesù rientra in molte categorie religiose del tempo, ma in realtà nessuna
di esse si adatta in maniera esaustiva per attribuire alla persona di Gesù un
titolo e una definizione ben precisa. L’interezza della sua immagine rimane
costantemente avvolta dal mistero!
Uno degli aspetti più emblematici da evidenziare è che Gesù palesa una chiara
e straordinaria coscienza di sé, rivendicando una posizione e un ruolo unici
nel punto culminante della storia d’Israele. Nella sinagoga di Nazarét si
autoqualifica come profeta che parla a nome di Dio; rivendica apertamente di
essere un inviato da Dio e di possedere poteri divini. Nel dichiarare
espressamente la sua natura divina si arroga la funzione unica di rivelare
agli uomini il vero volto di Dio e di conoscere direttamente quale fosse la
sua volontà in ogni concreta situazione: una rivendicazione ricapitolata nelle
sue ricorrenti e solenni affermazioni ‘in verità, in verità di dico’. Ma Gesù
non solo rivendica le sue origini divine, ma afferma anche di avere Dio per
Padre. Bastano solo alcune citazioni dei Vangeli: «non sapevate che io devo
occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49); «non fate della casa
del Padre mio un luogo di mercato» (Gv 2,16); «entrerà nel regno dei cieli
colui che fa la volontà del Padre mio» (Mt 7,21). Ma sebbene egli
manifestasse con sicurezza chi fosse, parlava raramente della sua condizione e
non mostrava mai un disperato bisogno di definire se stesso. Nè faceva di sé
l’oggetto diretto della sua predicazione poiché la sua identità era
incorporata e definita dalla sua missione. L’interesse fondamentale che anima
gli evangelisti è di evidenziare l’immagine di un Gesù che, posto al centro
del progetto salvifico di Dio, si pone al di sopra dei profeti e della legge
mosaica; è quella di descrivere un Gesù quale figura centrale del dramma
escatologico che egli annunciava e inaugurava.
È peculiare l’intenzione di Gesù nel voler svelare progressivamente la sua
identità durante la sua predicazione. Impone il silenzio ai suoi discepoli e
ai miracolati di fronte ai prodigi e alle guarigioni più significative. Si
tratta del cosidetto ‘segreto messianico’ che viene spiegato da Gesù seguendo
una propria metodologia, mirata ad evitare che i suoi interlocutori cadano in
equivoci o in traumi di fronte all’annuncio di un radicale cambiamento di
prospettiva. Forse è anche questo il motivo per cui Gesù, nonostante abbia
mostrato di sé una immagine chiara e inequivocabile, non ha voluto dare una
diretta e specifica identificazione di se stesso.
L’unico appellativo ricorrente nei Vangeli con cui Gesù definisce se stesso è
“Figlio dell’uomo”, un termine enigmatico ed oscuro che nel linguaggio
ebraico indica semplicemente “un uomo”. Tale espressione non è nuova nella
terminologia biblica perché viene assunta nel libro di Daniele (7,13-14) per
descrivere una figura messianica che sintetizza i tratti della gloria, della
potenza e del giudizio definitivo. Nei Vangeli l’espressione “Figlio
dell’uomo” si ritrova per ben 82 volte, solo ed esclusivamente in bocca a
Gesù. È naturale chiedersi perché Gesù durante la sua predicazione abbia
optato di questo titolo per autodesignarsi. Poteva benissimo autodefinirsi
semplicemente “Figlio di Dio”, considerato che si era dichiarato un inviato da
Dio, il Padre. Probabilmente Gesù, il creatore di parabole, utilizzava
l’enigmatica espressione “Figlio dell’uomo” sul genere delle parabole, o per
fare riferimento in modo paradossale a se stesso, come all’umile e indegno
messaggero del Regno di Dio, oppure per inquadrare la sua missione nel
contesto della tensione e del conflitto che si sarebbero tragicamente conclusi
con la sua morte in croce. A seconda delle circostanze, probabilmente, usando
questa espressione enigmatica, Gesù caratterizzava alcuni tratti del suo
ministero: come le difficoltà della predicazione in un ambiente ostile,
l’apparente fallimento della sua missione, la sua sofferenza, la predizione
esplicita della sua passione e morte, la sua glorificazione. In sintonia con
il segreto messianico, teso a svelare progressivamente la totalità della sua
immagine all’interno di un mistero più grande, questa espressione “Figlio
dell’uomo” forse lo aiutava ad evitare di dare una diretta e palese
identificazione di sé quale “Figlio di Dio”.
- Gesù ‘vero uomo’ e ‘Vero Dio’
Verrebbe naturale da chiedersi se la figura terrena di Gesù descritta nei
Vangeli sia quella di una persona che Dio manovra a suo piacimento, in
funzione di una missione di salvezza da compiere, missione che per “motivi
scenografici” doveva necessariamente concludersi con la sua morte in croce. In
altre parole, Gesù potrebbe apparire come ‘una figura’ o ‘uno strumento’
manovrato da Dio. Naturalmente questa ipotesi è solo una provocazione. Infatti
vedremo che non è cosi! Solo un’analisi superficiale dei Vangeli potrebbe
portare ad una tale conclusione. Sappiamo bene, infatti, che Gesù nei Vangeli
non viene presentato come una persona che si muove o agisce passivamente.
Tutt’altro, ha un ruolo attivo e dirompente nella vita socio-religiosa del suo
tempo: 1) porta un messaggio nuovo che criticamente e coraggiosamente oppone
alla legge mosaica; 2) afferma la giustezza del suo insegnamento; 3) non esita
a porsi contro le autorità religiose del tempo. Conosciamo bene dai Vangeli le
sue invettive contro i farisei e i Maestri della legge. Gli evangelisti ci
presentano un ‘Gesù-terreno’ che svolge un ruolo determinante nella società in
cui agiva. Gli evangelisti ci presentano un ‘Gesù-uomo’ che non si comportava
passivamente nei confronti di Dio, ma che viveva la sua esperienza terrena da
protagonista, come ‘vero uomo’, ed in
perfetta e intima sintonia con il Padre da cui gli derivava l’autorità di
annunziare come propria la volontà di Dio.
Ma dobbiamo fare i conti anche con la seconda natura di Gesù, quella divina.
Dal catechismo della chiesa cattolica apprendiamo che Gesù è anche ‘Vero
Dio’. Questo vuol dire che in Gesù coesistono due nature: la
natura umana e quella divina. Le due nature sono unite e perfettamente
integrate in un regime di vicendevole complementarità, senza che ci sia
prevalenza dell'una sull’altra. Se così non fosse, se cioè prevalesse la
natura divina, allora effettivamente potremmo supporre che il cammino di Gesù
era stato tracciato e preordinato da Dio.
Dobbiamo allora capire che quando Gesù parla o agisce nella sua persona si
esplicitano e agiscono contemporaneamente le due nature che caratterizzano la
sua identità:
1°) Come natura umana esprime le sue emozioni, i suoi umori, le
sue passioni, le sue debolezze, le sue gioie, le sue amarezze. Conclude la sua
missione di inviato del Padre appeso ad una croce.
2°) Come natura divina manifesta la sua preesistenza nel mondo e
la preconoscenza delle cose; attesta i suoi rapporti con il Padre che l’ha
mandato sulla terra per portare a compimento il Progetto Divino della Salvezza
dell’uomo. Risorge per ritornare al Padre a conclusione della sua missione.
Non ci si deve meravigliare, ad esempio, se sulla tomba di Lazzaro manifesta
da uomo la sua emozione, piangendo, ma subito dopo afferma che il miracolo non
era opera sua, ma frutto della manifestazione del Padre. Anche nell’episodio
del Getsemani affiorano chiaramente le due nature: da uomo mostra un attimo di
debolezza invocando il Padre – “Allontana questo calice di dolore” - ma subito
si corregge – “Padre sia fatta la tua volontà” -
I Vangeli, quindi, ci descrivono un Gesù che agiva attivamente da vero
uomo nel contesto storico-religioso di una società giudaica che si dimostrava
ostile al suo insegnamento. Ma, da vero Dio, aveva la preconoscenza degli
eventi che sarebbero presto accaduti. Lui stesso affermava di conoscere bene
cosa c’era dentro nei cuori degli uomini, per questo sapeva che sarebbe stato
respinto, condannato e ucciso. Probabilmente Gesù fu costretto ad esplicitare
le sue predizioni non tanto per mero protagonismo (come avrebbe potuto fare un
mago o un veggente del tempo), ma perché doveva preparare i suoi discepoli,
cioè i futuri continuatori della sua opera, al tragico evento della sua morte
e alla gloria della Risurrezione.
Allora possiamo veramente capire che Gesù durante il suo ministero terreno non
si è comportato da “strumento programmato” nelle mani di Dio perché, alla
fine, sulla croce non l’ha appeso Dio ma gli uomini del suo tempo i quali,
deliberatamente, nonostante i segni che egli avesse mostrato loro durante
tutto il suo ministero terreno, rifiutarono di riconoscere la sua vera
identità, respinsero il suo insegnamento e lo punirono con la morte.
La doppia identità di Gesù, ci permette di rispondere in modo
soddisfacente anche alla domanda: “Ma Gesù è veramente risorto dalla morte
dopo tre giorni?”. A questo quesito sicuramente nessuno mai potrà dare una
risposta sul piano logico e razionale. Solo attraverso la mediazione della
fede potremo sicuramente rispondere: “Sulla croce è
morto il Gesù, vero uomo” - “Dalla croce è
risorto il Gesù, vero Dio”.
- La Morte e la Risurrezione di Gesù: due eventi intimamente connessi sul
piano storico e teologico
Dal catechismo della chiesa cattolica apprendiamo testualmente: “Cristo è
risuscita-to dai morti, con la sua morte ha vinto la morte” (paragrafo 2,
638). Nelle omelie do-menicali ascoltiamo spesso le seguenti espressioni:
“Gesù con la sua morte in croce ha sconfitto il male”; “Cristo morendo in
croce per noi ha riscattato gli uomini dalla schiavitù del peccato”. Queste
affermazioni, per certi versi astratte e dai toni dogma-tici, ma di estrema
importanza perché costituiscono il cuore della testimonianza biblica e formano
il kerigma centrale del cristianesimo, in realtà cosa vogliono
significare?
Innanzitutto deve essere chiaro che l’evento della Risurrezione di Gesù esula
dal Gesù storico, cioè dal Gesù vero uomo aperto all’indagine empirica di ogni
osservatore. La Risurrezione va vissuta in un contesto di fede e correlata
all’interno del grande “Piano di Dio” per la Salvezza dell’uomo. Gesù,
infatti, nelle qualità di vero uomo e vero Dio, si aspettava il tipo di morte
che doveva subire; interpretava la sua dipartita dal mondo come parte del
misterioso Piano di Dio e come mezzo di cui Dio si sarebbe servito per la
salvezza del popolo d’Israele.
Paradossalmente oseremmo affermare che la morte e la Risurrezione di
Gesù hanno rappresentato un evento necessario nell’economia del
racconto biblico del Piano di Dio per la Salvezza dell’uomo.
Se Gesù infatti non fosse risorto dalla morte, la sua figura sarebbe rimasta
assimila-ta ad uno dei tanti personaggi storici del passato che hanno dato la
loro vita per un ideale. Quasi sicuramente, morendo, la sua predicazione
sarebbe vanificata, piom-bando nel dimenticatoio. Grazie all’evento
straordinario della “Risurrezione”, invece, rivive e trova compimento tutto
quello che Gesù aveva detto, fatto e insegnato du-rante il suo ministero
terreno. Ora può essere rilanciato con autorità il grande pro-getto spirituale
del “Vangelo”, come novità e norma universale di vita.
I Vangeli raccontano che la fede dei discepoli fu sottoposta alla prova della
passione. Dai Vangeli apprendiamo anche la loro grande delusione, perché con
la morte del Maestro vedevano crollare un insegnamento e svanire una dottrina
- «Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò sono
passati tre giorni da quando queste cose sono accadute» (Lc. 24, 21). In
virtù della forte scossa emotiva procurata dalle apparizioni del ‘Risorto’ gli
Apostoli, invece, riconoscono definitivamente l’identità divina di Gesù, per
cui sono spinti a proclamare con tutta la loro forza e convinzione il Vangelo
a tutto il mondo e a tutte le genti, ad eterna memoria - «Dopo che il
Signore Gesù parlò con loro, essi partirono e predicarono dappertutto»
(Mc. 16, 19-20).
Possiamo ora tentare di spiegarci il senso delle frasi: “Gesù morendo sulla
croce ha sconfitto il male e il demonio” - “ha riscattato gli uomini dalla
schiavitù del peccato”.
La chiave del tutto sta nell’evento: “Annunzio del Vangelo”. Ci
fa capire che:
-La ‘Risurrezione’ di Gesù rappresenta la
vittoria del divino sul maligno perché assistiamo al trionfo della Parola del
Vangelo;
-La ‘Risurrezione’ di Gesù decreta la
vittoria definitiva dell’amore sul male perché, grazie alla proclamazione del
Vangelo, è smascherata l’opera malvagia del demonio che vincolava gli uomini
alla schiavitù del peccato.
Con la ‘Risurrezione’ si realizzano, di
fatto, sul piano della religiosità, due nuove condizioni:
1°) il superamento della vecchia mentalità giudaica di stampo
vetero-testamentaria, legata alla rigida e legalistica osservanza della legge
di Dio, che ora viene sostituita dalla “legge
dell’amore”, il tema centrale che caratterizzò la predicazione di
Gesù.
2°) il trionfo del Vangelo di Gesù sull’opera del maligno, in azione
permanente nel mondo dopo la caduta dell’uomo nel peccato originale, a causa
della disubbidienza di Adamo ed Eva a Dio Creatore. E’ per questo motivo che
Gesù dai documenti neo-testamentari è definito anche il “Nuovo Adamo”
che, facendo la volontà del Padre fino alla morte, non cedendo alle tentazioni
del demonio e dando compimento al Piano di Salvezza di Dio, determina la
sconfitta definitiva del potere occulto delle forze del male, potere che fino
ad allora aveva condizionato negativamente la vita dell’uomo apportando odio e
divisione nel mondo.
Ora la “Parola di Dio” può essere proiettata
tramite i discepoli a tutti popoli della terra a modello universale di
testimonianza e come nuova regola di vita.
Se Gesù non fosse risorto dalla morte tutti questi eventi, così
articolati e concatenati tra loro, sicuramente non potevano realizzarsi
e non avremmo assistito al dirompente propagarsi in tutto il mondo del
suo “Messaggio Divino” fondato sull’amore di Dio
e del prossimo.
Interrogazioni e problemi storico-teologici legati alla Risurrezione
La Risurrezione rappresenta un evento che trascende il tempo e lo spazio, da
inquadrarsi esclusivamente nell’ambito della figura del “Cristo della fede”.
Tuttavia deter-minati effetti collegati alla risurrezione (la tomba vuota e le
apparizioni pasquali) sono fatti storicamente accertati, com’è vero che ci
fossero testimoni conosciuti per nome che affermavano che il Gesù risorto era
apparso loro.
I documenti del Nuovo Testamento, ma soprattutto i Vangeli, si sforzano
di attestare che la Risurrezione di Gesù fu un evento reale che ha avuto
manifestazioni storica-mente constatate. Davanti alle molteplici e comprovate
testimonianze non si può in-terpretare la Risurrezione di Cristo al di fuori
dell’ordine fisico e non riconoscerla come avvenimento storico. La descrizione
del sepolcro vuoto è stata interpretata co-me il primo passo verso il
riconoscimento storico della Risurrezione di Gesù; le ap-parizioni del Risorto
a testimoni conosciuti per nome e alle donne inducono i disce-poli a
esclamare: «Davvero il Signore è risorto!» (Lc 24,34).
Un dato storico indiscutibile è quello dell’esistenza del movimento cristiano,
nella prima metà del I°secolo, che si richiama a Gesù di Nazarèt, un ebreo
della Palestina ucciso agli inizi degli anni trenta, riconosciuto, venerato e
proclamato come il Cristo risorto.
I primi scritti databili sono le lettere di Paolo, dagli inizi degli anni
cinquanta al sessanta, all’interno delle quali si possono riconoscere alcune
formule che sono l’eco della vita di fede delle prime comunità cristiane,
attestanti che la Risurrezione di Gesù era un evento ben noto alle prime
comunità cristiane - «noi crediamo che Gesù è morto e risuscitato» (1Ts
4,14), «Cristo morì per i nostri peccati, fu sepolto, è risuscitato il
terzo giorno e apparve ai dodici» (1Cor 15,3-4). Di fronte a tante
testimonianze non si può non riconoscere la Risurrezione come un avvenimento
reale. L’ipotesi secondo cui la Risurrezione fosse stata un prodotto della
fede (o della credulità?) degli Apostoli, o di una comunità presa da una
esaltazione mistica, non avrebbe fondamento e giustificazione. Lo prova il
fatto che i Vangeli ci presentano i discepoli smarriti e spaventati, che messi
davanti alla realtà di Gesù risuscitato credono di vedere un fantasma. Gesù li
rimprovera per la loro incredulità e li invita a riconoscere il suo corpo
martoriato e crocefisso che portava ancora i segni della passione. Si hanno
buoni motivi per affermare che scrittori falsari, per acquisire credibilità,
avrebbero optato per una narrazione ricca di certezze ma non di dubbi.
Sul piano teologico la Risurrezione rappresenta la vittoria definitiva
di Dio sulle forze del male e sulle potenze demoniache. Questo però non vuol
dire che l’instaurazione del Regno di Dio sulla terra rappresenta un fatto
scontato o definitivamente acquisito. L’uomo se lo deve guadagnare
giornalmente con la sua condotta di vita personale. Il Regno di Dio sulla
terra, infatti, è sempre insidiato dalle potenze del male che tentano
continuamente e senza sosta l’uomo ad allontanarlo dal suo Creatore.
E’ compito supremo della Chiesa svelare il mistero del male nel mondo
che si rende manifesto e concreto ogniqualvolta l’uomo, succube del maligno,
pretende di glorificare se stesso ponendosi al posto di Dio.
Alla fine dei tempi, nel giorno del giudizio finale, ognuno dovrà
rendere conto a Dio del suo operato; ciascuno di noi sarà giudicato secondo
“il rifiuto” o “l’accoglienza” della Salvezza che Dio ha offerto a ciascuno di
noi nel corso della esperienza di vita personale sulla terra.
CONCLUSIONE – La Risurrezione di Gesù rappresenta un evento
straordinario che sfugge all’umana esperienza, inspiegabile con i comuni mezzi
della ragione, per le difficoltà di esprimere con parole umane un evento che
non appartiene al mondo percepibile con i sensi, ma al mondo di Dio.
La morte di Gesù è stata comunque una vera morte
fisica, in quanto “da vero uomo” ha messo fine alla sua esistenza
terrena ma, contrariamente ad alcuni miracoli de-scritti nei Vangeli, la
Risurrezione di Gesù non fu un ritorno alla vita terrena: il suo corpo
risuscitato passa dallo stato di “morte terrena” a quello di ritorno alla
“Vita Divina”, in una dimensione che si pone al di là del tempo e dello
spazio. Il catechi-smo della chiesa cattolica a tal proposito recita: “Nel suo
disegno di salvezza Dio ha disposto che il Figlio suo, non solamente morisse
per i nostri peccati ma anche pro-vasse la morte fisica, lo stato di
separazione temporanea tra la sua anima e il suo corpo, per il tempo compreso
tra il momento in cui egli è spirato sulla croce ed il momento in cui è
risuscitato” (Art 4, paragrafo 3, 624).
“Gesù dopo la Risurrezione appartiene ormai ad una sfera di realtà che
normalmente si sottrae ai nostri sensi. Solo così si spiega quella incapacità
a riconoscere Gesù di cui tutti i Vangeli concordemente parlano. Egli non
appartiene più al mondo percepibile ma al mondo di Dio” (Joseph Ratzinger)
Si può allora terminare affermando che l’innalzamento
di Gesù in croce non è solo il segno della sofferenza di Cristo ed
un momento di dolore, ma diventa il simbolo dell’infinito amore di Dio per
tutti noi; la Risurrezione di Gesù esula
da un’indagine empirica o scientifica, va vissuta nella fede e va innestata
nella figura del “Gesù vero Dio” nel contesto dell’ultima fase nella Storia
della Salvezza. Da essa riceve la sua logica e acquista il suo significato più
profondo. |